Inseguendo la superficie
Ogni viaggio è costitutivamente pieno di pericoli. Tra questi il maggiore – probabilmente – è quello di arrivare. Odisseo ne sa qualcosa. Certo, si può commentare come facile sarcasmo che solitamente, in pittura, non si danno “viaggi senza ritorno”. Il che è vero, almeno in parte o nella maggioranza dei casi. Eppure, credo sia ammissibile, è possibile intraprendere un viaggio con il puro nobilissimo disegno di non interromperlo, di proseguirlo. Magari intrecciando arabeschi ogni volta che all’orizzonte si intravede la meta; ogni volta che il viaggio rischia di approdare e di conchiudersi. La pittura di Luciano Fiannacca, la sua riflessione su una spazialità sospesa in cui profondità ed evidenza si intrecciano nell’esuberanza rigogliosa della superficie mi sembra riflettere quei connotati: il darsi cioè come contrappunto di un percorso – di un inseguimento – che non vuole interrompersi, perché sa di dover sondare ogni anfratto, ogni soglia, ogni transito che il percorso impone. Anche quando questo ci si presenti come Holzweg heidegeriano, come sentiero che si interrompe, come biforcazione ceca, come zona muta in cui non risplende la verità ed in cui non risuona il destino dell’essere. Contrappunti di un viatico, dunque, che non è mai identico a se stesso, anche se è consapevole che alla superficie dovrà prima o poi ritornare; contrappunti in cui si evidenziano figure della ciclicità, raddoppiamenti, analogie, inversioni, che, in qualche misura, sovraintendono ai differenti climi che nel viaggio si incontrano, alle differenti modalità, ai differenti luoghi. Fiannacca, viaggiando o inseguendo, non distrugge, ma, a seconda dei casi, ricompone, svia, si lascia sviare. Blu, nero, rosso, sono i colori di questi “luoghi”, zone apparentemente piatte sulle quali si accalca il segno e la materia della sua pittura. Colori di fondo – più che dello sfondo o della profondità, che ne indicano altrettante disposizioni – etiche? – dell’autore in viaggio: classicista, libertine, vitalista. Quel viaggio è un luogo trasgressivo e, lo abbiamo appreso, la trasgressione comincia dalla forma, dalla forma dell’immagine. Intermittente, occulta o strutturata, la trasgressione della forma deve farsi rapsodia, vale a dire – come accade nel viaggio che non si vuole mai conchiudere – non essere obbligata a progredire, a rispecchiare il modello organico del nascere – vivere – morire. D’altra parte, non esiste trasgressione senza che questa sia in grado di imporsi un ordine, un criterio che la rende tutt’altro che paradossalmente – sensata e coerente ( altrimenti si rischierebbe di ridurre la trasgressione a quella pratica “a cottimo” attuata dalle categorie etico politiche che non lavorano, che sono costitutivamente incapaci di una progettualità creativa: i “sevi” e i “padroni”). E’ l’ordine, la regola, che separa l’invenzione dalla pura provocazione; l’ordine è in qualche misura necessario all’eccesso; e se gli eccessi devono “rendere” – in termini di visibilità, autenticità, di espressione – devono sottoporsi ad una regola economica. Ecco allora le interferenze, le dissoluzioni, gli slittamenti cui la pittura di Fiannacca ci costringe, dispiegano altrettante figure cicliche stazioni, vie di fuga, correzioni, illusioni, mascheramenti, inganni ( guai se ci fossero anche quelli: il rischio dell’approdo si avvicinerebbe inesorabilmente) di un “entronauta” che tenta di porre in correlazione il corpo e l’anima della pittura. Ma, gli entronauti, questi viaggiatori costretti a viaggiare nello spazio della superficie non sono in realtà dei soggetti stanziali? Che tendono a risolvere tutto all’interno della “propria stanza”. Come accadeva a Xavier De Maistre? Se fossimo convinti di questo ritengo che ci precluderemmo la comprensione di una grande parte della cultura visiva contemporanea, quanto meno da quella che esce e riesce a rinnovarsi all’indomani della crisi della cultura informale. Ora non si combatte più nella superficie, attraverso gli esiti incerti, le rapsodie, le trasposizioni, che nella superficie si agitano. Fiannacca viaggiatore che insegue la superficie, opera per correggere le suture ( le certezze ) che possono (e che probabilmente debbono ) risultare viaggiando. Ma, in questo modo. Non può che riaprirle. Forse oggi la pittura è anche questo riaprire suture per purificare la pittura medesima dal senso indebito che vi abbiamo depositato.
Bruno Bandini marzo 1996